Dominazioni in Calabria

Pian della Tirrena.

Poche sono le testimonianze della dominazione romana nel nostro territorio: oltre agli ultimi ritrovamenti sul “Piano”, e a parte i resti di alcune condotte idriche, il cui ritrovamento è descritto con dovizia di particolari nel volume di recente pubblicazione “Marina di Nocera Terinese” di Nicola Lista, e a frammenti di pavimenti in mosaico greco – romano.
Rimangono, comunque, le vestigia di due grandi strade: la via Popilia, che univa Napoli e Reggio Calabria, e la via Traianea, una via litoranea che, proveniente da Amantea, si ricongiungeva alla via Popilia, attraverso la bocca di “Porta Vecchia” sita in territorio di Nocera.

Sotto il periodo bizantino si assiste all'espansione saracena che riesce a conquistare e a tenere sotto la minaccia dei saccheggi parecchie città del meridione.
Tristi tempi anche dal punto di vista economico attraversò la Calabria sotto tale denominazione a causa delle servitù militari e fiscali che ne resero sempre più precarie le condizioni economiche, sociali e politiche.
Ma un grande giovamento culturale trasse la Calabria, e il nostro paese, dalla presenza dei monaci basiliani che a Nocera, come in vari altri paesi della regione, crearono dei centri di raccolta spirituale, “Laure o Cone”, tra il fiume Grande e l’altipiano di Terina, nel luogo attualmente chiamato “e vurghe” (i borghi), dove le popolazioni che fuggivano dalle coste per le continue incursioni, trovavano asilo e riparo.

Anche l’insediamento sul nostro pianoro venne pian piano abbandonato e dimenticato, nel 950 d.C. circa.
Dei superstiti, alcuni cercarono riparo altrove, altri si inoltrarono lungo la via “Caprara”, sui monti, dove crearono un nuovo centro abitato e fortificato detto “Rivellino” o “Motta”.
Gli abitanti, resero più sicura la loro dimora, scavando sul lato est, un fossato fino a raggiungere, in profondità, i fiumi Grande e Rivale, le cui acque, in caso di necessità, rendevano impossibile l’avvicinarsi e l’ingresso degli assalitori nel rione, l’attuale “Fosso Cupo”.
Un ponte levatoio, dove è ora la “Ponta”, assicurava maggiormente l’incolumità degli abitanti.

Ponte levatoio, Ponta

Secondo la tradizione, la prima chiesa cristiana, si vuole sia sorta sulle rovine di un antico tempio pagano, dedicato a Bacco l’attuale chiesa di Santa Maria della Pietà, nel rione Motta, chiamato in origine “Timpone della Motta”.

Con la venuta dei Normanni in Calabria, dal 1054 al 1189, Nocera, vissuta nell'ombra, si riebbe dall'avvilimento in cui l’aveva gettata il mal governo bizantino, avviandosi, così, verso una ripresa economica e sociale. Furono favoriti gli scambi commerciali e incrementata l’agricoltura. “Vasti tratti di collina furono strappati alla foresta e ridotte a terre coltivabili, ed intorno ai villaggi si diffusero piantagioni di viti, olivi e castagni…”.
Nocera attraversò un periodo di vita prospera e ordinata.
I nuovi amministratori diedero un forte impulso all'edilizia i cui echi sono ancora testimoniati dalla locale toponomastica: infatti, sulla sommità della collina che sovrasta il paese venne eretto un fortilizio, che dominava sulle Valli del Rivale e del Grande, ed apriva lo sguardo sul mar Tirreno. Tale fortilizio, venne poi trasformato in convento, come diremo anche nelle pagine a seguire.

Convento Cappuccini

Anche sotto la dominazione Sveva, dal 1189 al 1266, seguita, nell'alto Medio Evo, a quella Saracena, Bizantina e Normanna, si ebbe nella nostra terra un notevole sviluppo agricolo e commerciale, e un più razionale sviluppo dell’arte serica.
E il caso qui di ricordare che le vicende storiche di Nocera si legano a quelle del Feudo Ecclesiastico di Sant'Eufemia, fin dal 1240, anno in cui Federico II, in cambio dell’ambito fortilizio di Nicastro, cedette all'Abbazia Benedettina di Sant'Eufemia la giurisdizione feudale sul territorio e l’abitato con la sua marina e il suo porto.
Tale diploma imperiale costituisce, di fatto, il primo ricordo storico del nostro paese.
Nocera rimase in stato di vassallaggio anche quando l’Abbazia passò, nel 1282, all'ordine degli Ospedalieri di San Giovanni di Gerusalemme, progenitori dei Cavalieri di Malta.
Il vassallaggio durerà fino al 12 agosto 1806, quando, in virtù di un decreto di Giuseppe Bonaparte, tutte le dipendenze feudali appartenenti ai Gerosolimitani di Sant'Eufemia furono demanializzati. Cfr. Sposato – Per la storia del brigantaggio nella Calabria del 700, introduzione e pag. 5).
“ Ma fu sotto il regno di Federico II che schiere di pirati saraceni approdarono a Sant'Eufemia e si spinsero verso l’interno depredando e saccheggiando i centri abitati…”. Nocera, nell'opera di riscossa contro i predoni corsari, era divenuta nel quadro delle strategie militari una roccaforte molto importante.

Agli Svevi seguì la dominazione Angioina e Angioino – Durazzesca e la Calabria, dal 1266 al 1442, conobbe un periodo di involuzione dovuto soprattutto ai gravosi tributi che, unitamente alla decadenza delle industrie e delle fiere e alle frequenti carestie, spinsero alla rivolta una popolazione stanca per la miseria e per la fame.
Con la nuova linea politica, difatti, “diminuirono le entrate regie, il diritto feudale diventò preminente su quello civile e il contadino si trasformò in servo”.

La dominazione aragonese, dal 1442 al 1502, pur ereditando la miseria angioina, diede una notevole propulsione all'economia incentivando lo sfruttamento razionale dell’agricoltura, dell’edilizia e favorendo l’incremento e il miglioramento dell’arte serica.
Durante tale periodo a Nocera si ebbe un notevole impulso nell'edilizia e nel commercio, grandi quantitativi di grano, olio, orzo e vini venivano esportati nella città di Cosenza ed in alti centri viciniori.

Palazzo Procida

Sotto la dominazione Spagnola, dal 1503 al 1734, la Calabria attraversò un doloroso periodo di decadimento, accresciuto dal fiscalismo, dalla miseria e dal conseguente strozzinaggio.
Nocera, al contrario di quanto accadeva altrove, grazie alle sue risorse locali, quali la pastorizia e l’agricoltura, ma soprattutto grazie alle immunità e alle franchigie concesse ai Gerosolimitani di Sant'Eufemia da parte dei sovrani del Regno di Napoli, vide aumentare la sua popolazione. Questo si evince dal fatto che sotto il vicereame spagnolo si ebbe un’affluenza di immigrati. La popolazione, infatti, nel 1595 raggiunse i 380 fuochi, cioè famiglie, a differenza dei 221 del 1561.

In detto periodo, a causa delle incursioni musulmane furono potenziate le strutture di difesa costiera con la costruzione di numerose torri di guardia dette “Torri Costiere”.
Quelle facenti parte del sistema difensivo di Nocera sono: la “Torre di Pietra della Nave”, detta originariamente la “Torre della Pietra” nome in seguito al quale fu “vocato” il paese di Nocera, - la “Torre di Savuto” o di “Bocca di Savuto” detta anche di “San Giuseppe” che venne travolta e atterrata da una piena del fiume Grande che, nel 1903, causò gravi danni alla zona, - quella di “Saporito al Casale”, - quella di “Gullieri”, scomparsa senza lasciare tracce posta sicuramente nel sito dell’attuale frazione di tal nome e per finire quella posta sul “Piano della Tirena”.
In caso di avvistamento di navi corsare, si accendevano fuochi di segnalazione, le campane suonavano a stormo e la gente correva a nascondersi.
Rimane memoria di quel periodo nel seguente motivo:
“Allarme mamma, allarme e campane sonanu u fumu s’edi azatu de Terina i Turchi su arrivati ara marina”.
(Per maggiori ragguagli Cfr. G. Valente – Le Torri costiere della Calabria).
Proprio all'inizio di questo periodo che il paese, dal punto di vista geografico assume in parte l’attuale fisionomia: si formano i rioni di via Castello, via Santa Sofia, Piazza San Giovanni, via Canale, via San Francesco, via Santa Caterina sino al luogo dove ora s’innalza la Croce per poi inerpicarsi lungo la collina, dove saranno edificati i rioni di via Valle Inferiore e Superiore.
Concordiamo però con gli storici nel ritenere che il periodo del vice regno “sarà per la nostra regione il più esoso e triste della nostra storia”.

Durante i secoli XVIII e XIX l’Italia meridionale subì per prima, la dominazione Borbonica, cui seguì il triste decennio della dominazione Francese ed infine, la tirannica Restaurazione Borbonica.

Torre di avvistamento Caprara

Nel periodo della dominazione Borbonica
dal 1734 al 1804, il nostro paese, come del resto, tutta la Calabria, godette di un sostenuto benessere economico.
Tuttavia il XVIII secolo è ricordato dalla storiografia più per eventi infausti che per la ripresa generale: il 1782 fu l’anno dell’alluvione e della siccità, tanto che come si ricorda in una vecchia platea dell’Arcipretale Chiesa di San Giovanni, il caldo “seccò i fiumi e fonti e rese la terra sì arida e secca, che venne ad esser la raccolta scarsissima, di maniera che mancò il pane, nodrimento delle creature”, mentre nel 1783 il terremoto si abbatté impietoso sulla Calabria, e anche Nocera fu orribilmente provata dal sisma. L’evento è così stigmatizzato nella stessa platea: “Venne finalmente Iddio all'esecuzione della giustizia, mentre alli cinque febraro 1783, giorno di mercoledì, ad ore diciannova e mezzo mandò il tramuoto così orrendo e spettacoloso, che distrusse quasi tutta la provincia sottana di Calabria Ultra colla morte ancora di quarantadue mila persone, secondo l’appurate notizie, e rimasti alcuni paesi, sebbene franti e aperti.”
Accanto a questi tristi accadimenti, anche il brigantaggio con il numerosi episodi di bieca criminalità.

Via Valle

Devastatore in ogni senso, fu il decennio francese dal 1804 al 1814. “Nocera poi, li ebbe veramente di casa” nelle parole del Mozzillo: “…spoliazioni, devastazioni, ruberie, angherie e soprusi erano fatti quotidiani. I raccolti, o pretesi o saccheggiati, i foraggi da servire ai loro cavalli, porci, pecore, capre per i soldati. I campi devastati, il popolo taceva, soffriva e si preparava”.

Una fredda mattina del gennaio 1807, una compagnia di soldati francesi, a cavallo, mentre si avvicinava lungo le vie del Rivale, a Nocera per presidiarla e requisire foraggi e bestiame, fu fatta segno a colpi di arma da fuoco, e, quasi atto dimostrativo, da diversi punti del paese e precisamente dalla Piazza, da via Rupe e da via Arena furono lanciati dei razzi. La reazione dei francesi fu immediata e ferocissima.
Questi assediarono il paese e, credendo che i colpi erano partiti da via Valle Superiore e, precisamente dalla casa abitata dalla famiglia Passeri, oggi palazzo Rossi, passarono per le armi tutti quelli che si trovavano in casa: anziani, giovani, bambini, compresa la gente del vicinato, presente per la “macellazione dei porci”.
Il proprietario Giovan Battista fu buttato nella caldaia in cui bolliva il grasso dei maiali. La famiglia Passeri venne distrutta. Morirono in quel 1807, uccisi: Chiara e Carmela Passeri, Maria Procida, Laura e Carmela Rocca, Caterina Miraglia, Michelangelo Maletta, e altri come si evince dall'Archivio della Chiesa Matrice San Giovanni Battista negli atti di morte dell’anno 1807.
Furono incendiate e devastate le case degli Amendola nell'attuale Piazza, casa Ungheri in Largo Dietro San Giovanni, casa Ventura, casa Procida e palazzo Angotti tutti ubicati in via Valle; le casette vicine furono tutte distrutte, sino quasi alla Chiesa dell’Annunziata.
Nocera, per molto tempo ancora, rimase in stato d’assedio, con il pretesto di “rastrellare i superstiti fuorilegge che ancora quivi si nascondevano”, ma, in effetti, per requisire, “uccidendo i riottosi”, vettovaglie e quanto “poteva essere bisognoso per le truppe”.
Dai testi consultati, ricaviamo che “in Nocera furono arrestati 15 briganti de li quali 7 sono stati fucilati ed i restanti 8 portati ad Amantea presso il comando delle truppe”. Si annotava che nello “scontro con i Noceresi non era perito nessun soldato francese” datato 9 aprile 1807. In una successiva nota del 12 maggio 1807 si legge: “….a Nocera sono stati requisiti dieci bovini, settanta ovini e dieci maiali, per vettovagliare l’esercito presente in Amantea….e l’eccessiva violenza del fiume Grande, ne aveva ritardato la spedizione.” (Fatti di cui la documentazione storica è numerosa, da consultare: Sinopoli – La Calabria; Ventura – Nocera Terinese, storia di una terra di Calabria; Caldora – Calabria Napoleonica; Mozzillo – Cronache della Calabria in guerra; Mercuri – Francesi in Calabria).

Arco della Motta

L’altrettanto tirannica e dispotica restaurazione Borbonica chiude il periodo delle dominazioni. Anni duri furono per la Calabria e per l’intero mezzogiorno d’Italia.
Disordine morale e politico; classe politica inetta e taccagnamente conservatrice: repressione, miseria, camorra, brigantaggio politico prima e, criminale in seguito: le tre “f” –festa, farina, forca – del monarca borbonico sono l’unico stemma degno di tale retrograda sopraffattrice dinastia.

Nel nostro paese il brigantaggio “fu anche vendetta personale”; ruberia, taglieggiamenti. Molto triste è ancora il ricordo, nei noceresi, del “Passo San Mazzeo”, che fu teatro di rapine e uccisioni. Gli avvenimenti storici, intanto, annunziano le “giornate del ricatto”.
In Italia agivano in segreto le varie affiliazioni libertarie: massoneria, carboneria, la lega dei diritti degli uomini ed altre che si erano estese anche in Calabria, diventa punto nevralgico per i collegamenti tra Napoli e Palermo.

Anche a Nocera era stata costituita una “vendita” con molti affiliati il cui vice segretario era Giuseppe Ungheri, nella cui casa si tenevano le riunioni. Una spia, non si è mai riusciti a capire il nome, denunziò non solo l’esistenza della vendita, ma inviò all'Intendente di Catanzaro il “catechismo della Giovane Italia” e un manoscritto giovanile dell’Ungheri, con accuse circostanziate.
L’elenco degli affiliati con altri documenti riguardanti l’attività della vendita venivano nascosti in una capiente “pignata” riempita, poi, con cenere e pezzi di carbone spenti. Si deve a questo ingenuo stratagemma se la polizia, inviata a Nocera, dopo la denunzia del delatore, non ottenne il risultato sperato. La casa degli Ungheri, circondata, fu interamente messa sossopra, senza che fosse trovato alcunché che convalidasse le accuse. Seguì un lunghissimo processo che si concluse con l’archiviazione come si ricava dai documenti esistenti presso l’Archivio di Stato di Catanzaro. (cfr. Sinopoli – La Calabria).

Intanto a Nocera, tra vendette private e delazioni, continuavano gli arresti, tra gli arrestati di Nocera ricordiamo: i fratelli Alessandro e Ferdinando Procida, Ripoli, Grillo, Motta e altri.

La polizia, molti delatori li aveva tra i rappresentanti del clero locale, tra cui l’Arciprete Francesco Verardi che era il più temuto e il più odiato dai noceresi.
Una vera odissea fu, invece, quella vissuta da Lorenzo Mancini che, sospettato di appartenere alla
Carboneria e denunziato dal solito confidente, evitò l’arresto rifugiandosi nel Convento dei Cappuccini, dove venne nascosto, dai monaci, in un ripostiglio segreto scavato in un doppio muro, a mo’ di libreria per testi sacri, nella sacrestia del convento e visibile sino a pochi anni addietro. I monaci, però, sospettosi, giustamente, del comportamento del clero e temendo che il nascondiglio fosse scoperto, di notte, in abito monacale ed in compagnia di altri monaci, lo fecero fuggire.
Il Mancini riuscì a raggiungere Portavecchia, dove rimase nascosto più giorni, in un forno, dove scoperto e arrestato fu, con altri noceresi, condotto nelle carceri di Ventotene.

Intanto gli eventi storici incalzano e i noceresi dopo anni di lotte e di persecuzioni, amanti della libertà e anelanti la propria indipendenza, in diverse occasioni furono presenti sui campi dove si combattevano le battaglie per la libertà.
Numerosi, infatti, furono i volontari noceresi, che, senza esitazione, accorsero nelle file garibaldine, durante la spedizione dei Mille, e con i “picciotti” combatterono a Calatafimi e a Palermo: altri si unirono a lui appena sbarcato a Reggio Calabria, aumentarono a Soveria e lo seguirono fin nella battaglia decisiva sul Volturno.
Tra i volontari noceresi che parteciparono alla spedizione dei Mille si ricordano: Bernardino Ventura, Giovanni Ripoli, che sarà insignito di argento al valore, Alessandro Procida, Valerio di Giorgio e molti altri.
La particolare atmosfera d’ira e di speranza è in questa canzone tratta da un antico manoscritto del 1865 di proprietà del prof. Ernesto Adamo:

“O mamma sienti, sienti o’ mamma mia
l’anu visti partire stamatina
tutti quanti cantavenu ppe ra via.
M’anu dittu ca jienu a Suveratu
ppe si jiuncire tutti assiemi a Garibardi
ca de Riggiu l’autru juernu edi arrivatu
su juti tutti quanti ppe ci dire
ca ppe ra libertà vuenu murire
ppe ra casa nostra liberati
de chissi puerci sbirri sconsacrati.”


Tratto dal volume:

Nocera Terinese - Storia, Fede e Tradizione 

Pasqua 2002

Associazione Turistica Pro Loco Ligea I.A.T.

Testi a cura di: Elvasio Curcio, Antonio Macchione, Szumskyj J. Antonio


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