Intimamente legati ai ricordi giovanili, i giochi di un tempo a Nocera Terinese evocano momenti di fanciullezza, quando, nonostante la povertà e la carestia, la genuina umanità allietava i nostri pomeriggi invernali e le calde giornate estive. La semplicità e l’originalità dei giochi, spesso costruiti con materiali poverissimi e nati da pura fantasia, ci divertivano talmente tanto che, credo, quasi tutti avremmo voglia di tornare indietro.
Certo, esistevano anche giocattoli lussuosi e al passo con i tempi, ma non erano disponibili per tutti, bensì esclusivamente per una ristretta fascia di persone. Ricordiamo alcuni giochi di un tempo:
Vatti Muru (Batti Muro): Quando i mezzi erano pochi e la voglia di gioco tanta, si cercava un buon muro, qualche giocatore volenteroso con un po’ di monetine, bottoni, tappi di birra o bibite, e si dava il via alla gara. Il gioco consisteva nel lanciare accortamente le monete o altro contro un muro, tentando di avvicinarsi il più possibile alla moneta dell’avversario. La massima distanza era un palmo di mano per conquistare il bottino dell’avversario.
U Pirruocciulu (La Trottola): Un giocattolo di legno a forma di cono con una punta di ferro o un chiodo appuntito. Per far girare la trottola, si avvolgeva una funicella intorno al giocattolo dalla punta verso l’alto e si lanciava imprimendogli un movimento che gli permetteva di girare su se stesso. La gara fra compagni consisteva nel farla girare per più tempo.
A Mucciateddra (Moscacieca): Con un fazzoletto o una benda di stoffa e tanta fantasia, ci si sfidava a farsi trovare ad occhi bendati fra prese in giro e giravolte, sempre nel contesto dei cortili e delle piazzette di paese che incentivavano a stare insieme e a divertirsi con poco, anzi con niente!
U Circhiu e Bricichetta (Cerchio di Bicicletta): Un gioco praticamente estinto, che con semplici mezzi dava divertimento e svago. Si trattava di un passatempo che si poteva eseguire da soli o in compagnia con un vecchio cerchio metallico di bicicletta. Si cercava di far rimanere in equilibrio il cerchio aiutandolo a correre con un bastoncino di ferro o di legno, spesso fra incursioni fra la gente e corse fra ragazzi vocianti. Quel semplice roteare diventava abilità e occasione di divertimento, con tappe preferite dal capo del paese all’altro.
Aru Cavaddraru (Cavallina): Un gioco che si faceva proprio con niente! Ci si riuniva in tanti e, con un po’ di iniziativa, un “volontario” si disponeva curvo sulla schiena, mentre si faceva scavalcare a turno da amici vocianti e indiavolati che, prendendo la rincorsa, lo sormontavano di corsa sulle spalle, uno dopo l’altro, fra tanti che ruzzolavano fragorosamente per terra o in mezzo ai prati dove sovente si svolgeva questo gioco.
U Pizzu: Protagonista di questo antichissimo gioco era un cilindretto di legno appuntito alle estremità. Posizionato per terra, si doveva far schizzare via lontano colpendolo a turno con una mazza di legno a una delle estremità. L’abilità consisteva nel colpirlo al punto giusto per sfruttare a fondo l’effetto leva. Vinceva chi alla fine riusciva a tirare più lontano. In genere si giocava in tanti e in grandi spazi.
A Carrozza: Uno dei “mezzi poveri” più ricordati e amati da intere generazioni. Era il risultato di una accurata, lunga e meticolosa costruzione di un “mezzo fuoriserie” di legno che potesse sfrecciare, facendo stare seduto comodamente il conduttore e magari anche qualcun altro, lungo le discese o le vie del paese. Si costruiva montando dei cuscinetti d’acciaio a sfera come ruote ai lati di una solida piattaforma di legname di forma rettangolare. Il manubrio era costituito dall’unico cuscinetto anteriore sterzabile con una staffa. Le piste si sceglievano in discesa, come ad esempio la via San Francesco e giù per la via Canale. Naturalmente, se prima si andava in carrozza, il ritorno lo si faceva a piedi trainandola con una cordicella.
U Pizzu: Protagonista di questo antichissimo gioco era un cilindretto di legno appuntito alle estremità. Posizionato per terra, si doveva far schizzare via lontano colpendolo a turno con una mazza di legno a una delle estremità. L’abilità consisteva nel colpirlo al punto giusto per sfruttare a fondo l’effetto leva. Vinceva chi alla fine riusciva a tirare più lontano. In genere si giocava in tanti e in grandi spazi.
A Carrozza: Uno dei “mezzi poveri” più ricordati e amati da intere generazioni. Era il risultato di una accurata, lunga e meticolosa costruzione di un “mezzo fuoriserie” di legno che potesse sfrecciare, facendo stare seduto comodamente il conduttore e magari anche qualcun altro, lungo le discese o le vie del paese. Si costruiva montando dei cuscinetti d’acciaio a sfera come ruote ai lati di una solida piattaforma di legname di forma rettangolare. Il manubrio era costituito dall’unico cuscinetto anteriore sterzabile con una staffa. Le piste si sceglievano in discesa, come ad esempio la via San Francesco e giù per la via Canale. Naturalmente, se prima si andava in carrozza, il ritorno lo si faceva a piedi trainandola con una cordicella.
A Iunna (La Fionda): Serviva come giocattolo e come arma per la caccia. Veniva confezionata con cura, utilizzando una forcella ricavata dagli alberi d’ulivo o castagno e elastici recuperati da vecchie camere d’aria. L’assemblaggio richiedeva attenzione e collaborazione per equilibrare gli elastici e trovare la giusta misura tra la forcella e il pezzo di cuoio cucito alle due estremità con dello spago, per permettere di usare il proiettile, spesso un piccolo sassolino.
Oggi il gioco è vissuto dai bambini e dai ragazzi come un’attività prevalentemente individuale, che si svolge al chiuso della propria cameretta, intenti a superare infiniti livelli di un videogioco della PlayStation. Anche la diffusione sempre più massiccia della televisione ha contribuito notevolmente alla scomparsa di questo tipo di comunicazione e di partecipazione comunitaria. Di conseguenza, si è affievolita la dimensione collettiva del gioco e del passatempo.
Una volta, invece, i bimbi e i ragazzi, quando non erano impegnati a scuola o nel lavoro in campagna, giocavano liberi nelle strade con oggetti semplici, che si potevano trovare facilmente nell’ambiente in cui vivevano. Quegli svaghi erano un modo per stare insieme: si sbagliava, si litigava, si socializzava senza chiudersi nel silenzio della propria camera davanti a uno schermo. Giochi di un tempo, ma passatempi corali, ed è questa la bellezza di quel tempo che regalava, sicuramente, anche momenti negativi legati al poco o al niente, ma anche momenti positivi perché il poco bastava.
Oggi il gioco è vissuto dai bambini e dai ragazzi come un’attività prevalentemente individuale, che si svolge al chiuso della propria cameretta, intenti a superare infiniti livelli di un videogioco della PlayStation. Anche la diffusione sempre più massiccia della televisione ha contribuito notevolmente alla scomparsa di questo tipo di comunicazione e di partecipazione comunitaria. Di conseguenza, si è affievolita la dimensione collettiva del gioco e del passatempo.
Una volta, invece, i bimbi e i ragazzi, quando non erano impegnati a scuola o nel lavoro in campagna, giocavano liberi nelle strade con oggetti semplici, che si potevano trovare facilmente nell’ambiente in cui vivevano. Quegli svaghi erano un modo per stare insieme: si sbagliava, si litigava, si socializzava senza chiudersi nel silenzio della propria camera davanti a uno schermo. Giochi di un tempo, ma passatempi corali, ed è questa la bellezza di quel tempo che regalava, sicuramente, anche momenti negativi legati al poco o al niente, ma anche momenti positivi perché il poco bastava.